Viaggio in Giappone

Isabelle Huppert Tsuyoshi Ihara 2

Titolo originale: Sidonie au Japon

Un film apparentemente piccolo, ma pensato, scritto e girato così bene, da ricordare non tanto Lost in Translation di Sofia Coppola dalla trama similare, quanto invece il cinema di François Truffaut, sia nei toni che nei sapori. È vero infatti che Sidonie, portata in scena da Isabelle Huppert, si trova simpaticamente a disagio con la cultura e con le persone giapponesi, come il personaggio di Antoine Doinel nel quarto film del suo ciclo (Non drammatizziamo…è solo questione di corna) in cui ha una relazione con una donna giapponese. Ma il confronto si fonda soprattutto su come la regista Élise Girard gira il suo film e su come girava Truffaut. Entrambi bene, anzi, benissimo, sempre accompagnati da musiche straordinarie, posizionate nei momenti giusti. Che cosa significhi girare bene è un mistero, tutto può essere fatto a rigore e non avere lo stesso effetto che hanno i film di Truffaut o il film della Girard. Ma andiamo con ordine: Viaggio in Giappone racconta di una scrittrice di successo che arriva a Tokyo, dove l’editore nipponico l’ha invitata per un giro di conferenze in occasione della ristampa di uno dei suoi romanzi. Il viaggio cullerà i due personaggi alla ricerca di un nuovo inizio, che faccia dimenticare per sempre le proprie ferite. Quelle di lei, in particolare, legate allo straziante lutto del marito (August Diehl) dalla presenza fissa come fantasma di dolore durante il viaggio. La montagna, il mare, i giardini, gli auditorium per le conferenze, gli hotel, i grattaceli, tutto è descritto dalla macchina da presa della Girard come se fosse una penna, o meglio, una matita dal tratto leggero ed elegante. Delicatezza, dolcezza, lieve ironia sono le migliori qualità di un film delizioso, ma anche i suoi interpreti sono perfetti, sempre in scena, sempre che incuriosiscono: Huppert e Ihara, dall’alchimia contagiosa. Viaggio in Giappone cattura l’essenza della solitudine e della speranza, e quindi della bellezza. Per questo è da intendersi come un capolavoro e per questo la Girard è una regista eccellente. Un’opera semplice, Viaggio in Giappone, ma riuscire a esserlo è la cosa più difficile del mondo, probabilmente un dono innato contro cui si scaglia la complessa mediocrità di chi ne è privo. Il genio e il mediocre, destinati a un’ovvia incomprensione reciproca, scientifica e creativa, possono sublimare il loro difficile rapporto nel rispetto reciproco se non nell’amicizia, fondata su una salvifica ironia e su uno scambio di ruoli potenzialmente fruttuoso. Da qui la perla della Girard, autrice di un viaggio tra le pieghe del cuore francese che vorremmo non finisse mai…